Ep. 7 – Jeff la cometa
Come chiami qualcosa di luminoso che passa rapido, abbaglia tutti e poi scompare? Una cometa. Jeff Buckley è stato questo. Una cometa di purissima sensibilità artistica. Un talento fuori dal comune. Ascoltarlo è come toccare un filo elettrico scoperto. La scossa ti entra sotto pelle, viaggia per i nervi, arriva al cervello e dilaga tra le emozioni. Non era fatto per il grande successo e forse non lo avrebbe avuto mai, era nato per “segnare” i contemporanei e tutti quelli che sarebbero venuti dopo. Non avremo un certo tipo di canto di Thom Yorke dei Radiohead, o perfino certi colori di John Legend, senza Buckley. E ci teniamo stretti con gli esempi.
La cometa Jeff si spense da sé, con quella stupida innocenza che hanno i geni capaci di smuovere dalle fondamenta la scena dell’arte che praticano, in questo caso la musica, e poi di inciampare nei legacci sciolti delle loro stesse scarpe. Anzi, negli stivali che indossava il 29 maggio 1997 quando si tuffò vestito nel Wolf River, vicino a Memphis. Il posto del dolore nero, della sofferenza fatta suono che aveva già dato voce e corde a B.B. King, Howlin’ Wolf e Memphis Minnie. Jeff sparì in quelle acque agitate. Non aveva un alto tasso di alcol né alcuna droga nel sangue. Lo riconobbero dal piercing dorato che portava, l’acqua aveva eroso corpo e lineamenti per cinque giorni. Un malore? Un’onda che lo aveva travolto? Una morte a 30 anni entrata nel mito. Muore giovane chi è caro agli dei, si dice.
Nel mentre c’erano stati un ep live al Sin, il locale dove Jeff si era svezzato cantando di tutto, rielaborandolo e rendendolo unico, l’album epocale Grace e i lavori a quello nuovo, rimasto incompiuto: Sketches For My Sweetheart The Drunk. Da allora, una marea di tributi, antologie live rimasterizzate, b sides, video, speciali tv. Come Che Guevara e Marilyn Monroe, d’accordo, non così pop ma poco ci manca, il bel viso e la voce angelica di Buckley sono diventati una mitologia dolce e dolente, tanto da rischiare di togliere qualcosa al suo valore musicale. Notevole. Alla sua vocalità : eccezionale. Ai suoi testi, pieni di intimismo e visioni, di rimandi ai poeti francesi, alla beat generation, con la sensibilità di chi aveva addosso Edith Piaf e Nina Simone, i De La Soul e i Cocteaw Twins, il grunge e Nusrath Fateh Ali Kahn. Camminava perennemente dentro la musica come si cammina in un sogno. Questa è la sua più grande lezione per chi fa musica oggi.
Ma alla fine la vita di Jeff Buckley fu anche quella di un figlio in lotta con l’ombra eccellente del padre mai conosciuto davvero. Quel Tim cantautore raffinato e “maledetto” morto giovane pure lui (a 28 anni, meno di Jeff) per overdose di cocaina e alcol. Due sensibilità simili, due voci diverse, due storie costrette a stare distanti e a incrociarsi solo nella musica. Per la musica. Magro ed emaciato poco prima della morte, Jeff la cometa cominciava a patire già l’esposizione alla grande celebrità . Non gli interessava la top ten, voleva il mito. Lo ha avuto. Restando così, come lo ha definito Bono degli U2: “Una goccia pura in un oceano di rumore”. E colmando di rimpianto tutti noi.
SPOILER – C’è la storia di un altro figlio in conflitto con la famiglia e con se stesso che trovò beatitudine nella musica. Ma solo attraverso la dannazione. La storia di Fabrizio. Ne parleremo la prossima volta.
Cristiano Sanna Martini [“Musicista (Elora, Tancaruja, Signor Palomar e varie collaborazioni). E giornalista: in passato ha scritto per L’Unione Sarda, Il Sole 24 Ore, Cineforum, Rockstar, Duel, Lettera 43. Un po’ di tv e molta radio. Ma ora è Web e social, bellezza. E dunque: Tiscali News. Su Twitter diventa @Crikkosan”]