Ep. 4 – Piombo su Greta
In Italia, mercato discografico “local” e che come tale non ha potere di convincere nessuno all’estero, se non quando si tratta di pop latino (Pausini) e tenori pop (Bocelli) è sempre la stessa cosa. La stampa musicale legge quel che viene scritto da riviste internazionali, copia tendenze e pareri e firma il tutto allineandosi. Specie quando si tratta del “caso” del momento. E il caso si chiama Greta Van Fleet.
Stroncati da Pitchfork, “bibbia” di quel che viene considerato nuovo, emergente, di tendenza, impossibile da ignorare in campo musicale e discografico, i quattro di Detroit hanno fatto notizia perché il loro attesissimo album Anthem Of The Peaceful Army è stato distrutto da Pitchfork col voto più basso possibile. E via con la corsa all’emulazione. Via con le sassate contro i Greta. La musica vive da sempre di “religion war”, di “questo è il meglio che c’è e non si tocca” e di “odio questa roba, a morte”. Ci sta, come sempre quando la passione ci muove (in musica come in politica o quanto a marchi tecnologici preferiti o roba di moda, sui social poi l’effetto è esplosivo). Ma c’è un “ma”. Eccoci al punto.
Ancora prima che uscisse l’album, ancora prima dell’Ep, mentre i Greta spopolavano a tutto social, su Youtube, nelle college radio americane (potentissime nell’orientare il gusto del pubblico mainstream, roba inesistente in Italia dove la programmazione dei grandi network è bloccata) prima di tutto questo i Greta Van Fleet ricevevano la benedizione di colui che li dovrebbe odiare più di tutti: Robert Plant. Una leggenda assoluta del rock, uno dei più grandi cantanti di sempre, voce di quei Led Zeppelin di cui i Greta Van Fleet sono accusati di essere una scopiazzatura senza vergogna e né valore. Il bello è che lo sono.
Plant è stato chiaro: “I Greta sono identici a Led Zeppelin I”. Quell’album di debutto del “dirigibile di piombo” fu un grande successo, fece tremare e lasciò senza parole tutti i rivali e lanciò i Led Zeppelin nell’empireo delle stelle rock senza tempo. Ora i Greta si arrampicano sulle gambe degli Zep. Stessa vocalità potente, stesse chitarre e frasi di quelle suonate da Page, stessi timbri di batteria e basso di “Bonzo” Bonham e John Paul Jones. Un singolo che si intitola Highway Tune sfidando la memoria dell’Highway Star dei Deep Purple. Ciò che era vecchio torna nuovo, ciò che sembra nuovo è vecchio. I Greta avvicineranno un sacco di giovanissimi (speriamo) al grande rock che ignorano. E perfino al vecchio blues, la cui estemizzazione elettrica ci ha dato il rock leggendario degli anni ’60-’70.
Per dirla tutta, non c’è niente di nuovo in Sfera Ebbasta, Ghali, Tedua e gli altri trapper. Non c’è alcuna novità nei brani di Luna Melis o di Anastasio appena sfornati da X Factor. Il rap ha quarant’anni, la trap quasi 20, l’r&b è vecchio quanto l’hard rock ed è risorto in forma elettronica oltre vent’anni fa. Quindi: il vecchissimo rock duro torna nuovissimo? Se il mercato decide così, così sia. Tanto poi le mode passano e resta il peso specifico di una proposta artistica, quel che davvero conteneva quando finiscono le pose e i look studiati a bella posta.
SPOILER – Quindi ridateci Freddie Mercury. Quello vero. Il film di enorme successo “Bohemian Rhapsody” racconta davvero Freddie e quel che sono stati i Queen? E cosa dice la storia di quella band a chi oggi ne ha una e ci tiene a proporre la propria musica? Di questo parleremo nella prossima puntata.
Cristiano Sanna Martini [“Musicista (Elora, Tancaruja, Signor Palomar e varie collaborazioni). E giornalista: in passato ha scritto per L’Unione Sarda, Il Sole 24 Ore, Cineforum, Rockstar, Duel, Lettera 43. Un po’ di tv e molta radio. Ma ora è Web e social, bellezza. E dunque: Tiscali News. Su Twitter diventa @Crikkosan”]